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Quel gran pigrone del turista napoletano

Il turista napoletano è un viaggiatore piuttosto pigro: i suoi movimenti sono scarsi e limitati, non hanno alcunché di metaforico e di teorico, di drammatico, nessun sistema razionale che lo spinga ad abbandonare la città per mete piu’ ridenti e fruttuose. Al contrario del siciliano che fruisce della stessa pigrizia e anche sul filo del paradosso elabora sistemi di vita filosofica nei quali si rispecchia. In «Sogno di un valzer» dl Vitaliano Brancati: «L’avvocato Edoardo Buti (1764-1827) aveva sostenuto con opuscoli e conferenze che l’uomo è un uccello e aveva scoperto un residuo delle ali in alcune forme di orecchie. Il Cavaliere benestante Paolo Perrotti aveva sofferto di una malattia di non ritrovarsi allo specchio e dopo un minuto si batteva la fronte ed esclamava sono io. L’avvocato Roberto Caudanella aveva speso l’intera esistenza per dimostrare che Dante era un pagano. Uguale esperienza l’aveva fatta l’Avvocato Luigi Gallo per dimostrare che Dante era buddista». Il napoletano non scambia queste tormentate metafore con elaborate fughe mentali. Una pigrizia innata lo spinge a non muoversi o tuttalpiù a girovagare nei dintorni, ma non per elaborare sistemi tolemaici di filosofia peripatetica ma più modestamente per trovare diletto esistenziale connaturato alla propria cultura e disponibilita’. «Na casarella pittata ‘e rosa ncoppa e Camaldule vurria tene». L’unico volo poetico è di un’impresa di spostamenti nei limiti urbani per cercare uno svago di carattere passeggero: «Iamm Iamm ncoppa iamm ia’» e «so sbarcate ‘nterra Marechiare na cumitiva e’ vasce a Sanità». Il viaggio, se di viaggio si può parlare, è di esclusiva pertinenza non turistica: «me ne vogli’ all’America, ca sta luntana assai», anche supportata da esagerati tentativi suicidi: «a ghiurn a ghiurn parte nu vapore, a ghiuorn ammore mio se votte a mmare». Piuttosto si assiste a un clima di ritorno: «stu core sbarca a Napule comm. ‘a nu gran signore / torna stu core aspetta a te». Vi sono anche degli impedimenti di natura psicologica: «Ma c’aggia fa me fa paura e ce turnà». Ci troviamo davanti a dei limiti arditi d’indisponibilità. Diremo di pigrizia mobile è «Torna a Surriento» dove il protagonista non va a cercare la sua bella, ma esorta lei a cercare lui. Anche il flusso turistico verso l’esterno ha carattere di eccezionalita’. In «Due Paravisi» ci si confronta con il vero Paradiso, non sul piano della dottrina teologica, ma sul lato della comparazione e il risultato della comparazione é tre a uno: Pusillepe, Surriento e Marechiaro, o «Paraviso nuost e’ chistu cca». Ove viene meno la voglia di spostamento basta una cartolina.
In «Torna sta casa aspetta a te» interviene un sottile ricatto: «ca se nce tuorn tu non ce lassamm cchiù». II protagonista propone di barattare il ritorno con la promessa di una vita in comune di carattere statico: il matrimonio. E’ da notare che come mezzo per il turismo la barca serve più come supporto amoroso che come mezzo di lavoro: «Inta a ‘sta varca famme sunna’, vocame vocame nun me scetà». In questo caso molto egoisticamente si assiste all’invito del protagonista a far remare la sua amata mentre lui è occupato a dormire, con l’invito esplicito a non turbare il sonno.

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