Nella canzone napoletana prevale il cliché di una donna eternamente votata alle pratiche amorose: una sorta di strega che fa di tutto pur di conquistare il suo uomo. Di converso, lo spasimante (l’uomo «neapolitanus», di solito, veste sempre i panni di amante deluso) nella maggior parte dei casi si presenta come vittima degli intrighi sentimentali architettati dalla donna. A volte la condizione dell’uomo peggiora con l’intervento dei parenti. In «Io mammeta e tu», ad esempio, è asfissiante l’onnipresenza della madre di lei: «Io, mammeta e tu… passiggiammo pe’ Tuledo, nuje annanze e mammeta arreto… Io mammeta e tu… Sempre appriesso, cose ‘e pazze chesta vene pure ‘o viaggio ‘e nozze…». La madre è onniprensente anche nel difendere il figlio dalle insidie della donna «’nfame». Inevitabili le discussioni in famiglia. Nella canzone «Mamma nun dorme» di Albano-Mangione il figlio, per questioni di cuore, litiga con la mamma: «Mo si mamma m’arape ‘e bbraccia, manco ‘mbraccia m’a stregno cchiu». Ma anche il ruolo della madre assume il tono di una rassegnata impotenza di fronte al dilagare dell’irresistibile passione. La defezione minacciata in «’A cammesella» («’e levate ‘o mantesino…’o mantesino gnernò gnernò… sia benedetta mammeta quanno ti maritò, sia benedetta mammema quanno me maritò») è solo un manieristico artificio per nascondere la debolezza dell’uomo rispetto ad un ammaliante invito. E’ inutile il voluto confronto con le arti seduttrici di una donna spagnola che «sa amar cosi bocca bocca la notte e il di, stretti stretti nell’estasi d’amor» («La spagnola» di Di Chiara). Per la donna napoletana queste enunciazioni hanno solo carattere propagandistico. La realtà, infatti, è molto più concreta: «Carmé ce pienze, nu bellu maretiello è sempe bbuono… («Oili Oilà» di Costa-Di Giacomo).
Le istanze psicologiche che stanno a monte del rapporto amoroso vengono, invece, esorcizzate con la celebre – e intraducibile – formula magica del «Ndringhete ndrà!», contenuta nell’omonima canzone firmata da Cinquegrana-De Gregorio in cui tutti vogliono l’acquaiola Carmenella: ma nessuno riesce a «s’a piglià». Come mai? Il mistero non viene svelato, così deve andare: «ndringhete, ndringhete ndrà…». Misteri a parte, nella canzone napoletana vi è comunque il rimedio contro il travaglio indotto dalla passione irresistibile: una pastiglia, un suicidio-farsa. Renato Carosone docet: «…’a tre mise nun dormo cchiu’, ‘na vucchella vurria scurda’, gente diciteme comme aggia fa, pigliate ‘na pastiglia…». Una delle doti della donna nella canzone è quella di sapere attendere. La donna che fa «spantecà», nel frattempo, con arti subdole induce l’uomo a resistere, a bruciarsi nell’attesa:. «scrivo sempe ‘e stà cuntenta, i’ nun pienzo che a te sola» («’O surdato innamurato»). Infine, la saggezza partenopea nsolve anche gravi disturbi psicologici dovuti alla timidezza. Un esempio su tutti? «Dicitincelle vuie…».