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Sante Confidenze

Per capire bene il rapporto tra i napoletani e i santi, bisogna rifarsi alla Controriforma: Napoli non subì il travaglio della fede, ma accentuò con l’esaltazione della liturgia, gli aspetti più appariscenti della fede che, con la loro scenografia, appagavano il gusto per lo sfarzo della plebe. «Tutto a Gesù e niente a Maria» esprime la sottile ironia del napoletano che vedeva nel credo protestante un declassamento della Madonna a favore di Gesù Cristo. I Santi sono più raggiungibili, più disponibili a intercedere verso il potere. II rapporto è confidenziale, mercanteggiando Ia grazia da avere con i voti da offrire: «Chi tene Santi va ‘mparaviso». Sulle tavolette votive vi è la sigla V.F.G.A. (Voto Fatto, Grazia Avuta): una perfetta transazione commerciale. Se la grazia non avveniva, spesso si passava a vie di fatto verso il sacerdote preposto a quel santo. Nel sud agricolo i santi svolgono un ruolo essenziale nella determinazione del bel tempo: «Santa Barbara e San Simone facite passa’ sti lampe e sti tuoni». A Palestrina vi sono i resti della dea Fortuna che romani credevano calva, con un ciuffo di capelli sulla fronte. Tale concetto fu integralmente trasposto dalla Chiesa col nome di Provvidenza: vi è una serie di proverbi che conta sulla forza risolutrice divina. A volte la richiesta viene rafforzata da una duplice invocazione: «Cristo ‘o sape e ‘a Maronna ‘o vede». I Santi scandiscono il tempo dei lavori dei campi: «A San Biase ‘nserta prune e cerase», «A San Gennaro aiza ‘a scala» (settembre, tempo di vendemmia), «A Sant’Antuono ogni puorco è buono» (metà gennaio). Merita di essere ricordato l’anatema, di grande forza espressiva, tipicamente partenopeo, che «ripara» i propri beni e la propria salute. «Meglio na mala jurnata ca na mala vicina».

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