Luna rossa, (autori V. De Crescenzo – Antonio Vian, 1950), atmosfera da night, entra in scena il seccatore: «E ‘a luna rossa me parla ‘e te, io Ile domando si aspiette a mme, e me risponne “Si ‘o vvuo sapé… ccà nun ce sta nisciuna!’» È da premettere che la colorazione rossa non è indicativa e neppur congiuntiva di alcuna formula politica, che, ove fosse, si atterrebbe a un codice di comportamento che attinge alla morale proletaria volta all’edificazione del socialismo reale. Compiuta questa doverosa precisazione, la colorazione rossa della luna è dovuta ed è identificativa di un transfert psicologico identificatesi nella più nera disperazione, creando così un indissolubile binomio letterario di rara potenza sthendaliana: il rosso e il nero. A questo travaglio si aggiunga la derisoria e beffarda risposta della luna: ccà nun ce sta nisciuna!», parole determinate da una perfida cattiveria. Bisogna rilevare anche la sprovveduta dabbenaggine del protagonista che, è il caso di dirlo, con questi chiari di luna, va a domandare dove si trova la sua bella, importunando l’affaccendarsi dell’astro nel travaglio della gestione delle maree, fasi lunari… «e già nel mme parla ‘e te» vi è una condiscendenza di dare retta a questo solitario rompiscatole anche perché l’abbigliamento («mane int ‘a sacca e bavero aizato») non depone sulla validità estetica del questuante. La gamma delle opzioni e la gestione del tempo è di difficile analisi. L’innamorato napoletano è di elevata condizione sociale potendosi permettere chi un cantante, chi un’orchestrina, chi una semplice chitarra. Inoltre deve fruire di un reddito che lo esonera dal lavorare,passando la notte sul balcone.